Braccia incrociate sul petto e broncio pronunciato. Andrea ha assunto la sua classica posizione difensiva. Protesta contro il minestrone di oggi. Elisa mi guarda alzando un sopracciglio, come a volermi sfidare. Sento la sua voce nella testa che mi dice “Prova a convincerlo, se riesci.” Mi siedo al mio posto e osservo Andrea con attenzione, concentrandomi nella ricerca di una strategia che possa rivelarsi efficace. Nella mia mente ritorna il ricordo di un uomo. Mi schiarisco la voce.
— È un peccato, — esordisco. — che tu non lo voglia. Conoscevo un uomo che avrebbe di tutto per un piatto come quello.
— È impossibile. — protesta lui. — La minestra fa schifo.
— Oh sì, hai ragione. Tutti quei sapori insieme. È a dir poco disgustosa.
— Matteo? — interviene Elisa.
Non bado a lei perché so bene anch’io che l’impressione è che stia solo peggiorando la situazione.
— Mi dispiace per te, Andrea. — riprendo.
— Perché? — chiede lui tra la curiosità naturale dei bambini e il timore di una punizione.
— È evidente. Non hai quel superpotere.
— Quale superpotere?
— Lo stesso che aveva Gustavo.
— Chi è Gustavo?
— L’uomo che avrebbe fatto di tutto per quel minestrone.
— Che superpotere aveva? — Bingo! Ora ho la sua attenzione.
— Non importa. — rispondo vago.
— Dai, dimmelo!
— Ok, va bene. Te lo dirò, ma che resti tra noi, intesi?
Andrea scuote la testa in senso affermativo e alcune ciocche bionde ondeggiano davanti alla fronte. Elisa lo osserva e sorride, poi mi rivolge uno sguardo di curiosità. Non sa dove voglio andare a parare e forse mia moglie è più curiosa di mio figlio.
— Questa è la storia di Gustavo. — esordisco. — Cieco fin dalla nascita, ha vissuto tutta la sua vita in un paesino di provincia. Era una persona curiosa. Non potendo vedere le cose, fin da piccolo, annusava e metteva in bocca di tutto, come fanno tutti i bambini, ma lo faceva con un intento preciso: conoscere il mondo che lo circondava. Crescendo riuscì a distinguere il pane del prestinaio di quartiere da quello del panettiere del centro. Il profumo della torta margherita fatta da zia Rosina, da quello della torta margherita che mangiava a merenda la compagna di banco. Crescendo il suo rapporto col cibo divenne sempre più intenso. Iniziò a provare tutte le pietanze che i ristoranti proponevano nei loro menù. Conosceva tutti gli abitanti del paese, anche se non aveva mai visto nessuno di loro, e tutti conoscevano lui. Era diventato, in breve tempo, il palato più raffinato del paese, fino al giorno in cui accadde l’irreparabile.
Mi verso un bicchiere di vino per fare una pausa ad effetto. Sollevo il bicchiere di rosso e ne apprezzo i riflessi nella luce che entra dalla finestra della cucina. Lo avvicino alla punta del naso per apprezzarne il bouquet.
— Che cosa è successo a Gustavo? — mi chiede Andrea.
— Oh, meglio che non te ne parli. — rispondo vago.
— Dai, dai, dai, dai, dai!
— Ok, va bene.
Mi consento un’altra breve pausa per assaporare il vino. Un’ottima annata.
— Devi sapere — riprendo lentamente. — che la passione di Gustavo per il cibo arrivò al punto da diventare una vera e propria ossessione. Un giorno comunicò al padre di voler studiare per diventare cuoco. Quest’ultimo era fortemente contrario a questa decisione, ritenendo che il figlio, essendo cieco, non potesse cucinare qualcosa che non poteva vedere. Ci fu una discussione che si concluse con la partenza di Gustavo per la città più vicina. Studiò l’arte culinaria ottenendo ottimi risultati ed elogi da parte dei suoi maestri. Per anni lavorò come cuoco in un piccolo ristorante del centro storico. Si fece presto un nome. Tutti andavano in quel locale per poter assaporare i suoi piatti. Il proprietario obbligò Gustavo a cucinare sempre gli stessi piatti che lo avevano reso famoso. Giorno dopo giorno la sua passione si trasformò in routine, la sua felicità in tristezza, fino a quando decise che era giunto il momento di cambiare vita… e avvenne un piccolo miracolo.
— Cos’è successo? — mi chiede Andrea.
— Tornò al suo paese. — rispondo. — Aprì un ristorante tutto suo dove ebbe la possibilità di esprimere la sua passione per la cucina. Rispolverò vecchie ricette dalla memoria della sua infanzia, perfezionandole e rendendole ancora più appetitose. Il padre di Gustavo, che non aveva più ricevuto notizie del figlio, venne invitato da un amico a pranzo. Il ristorante scelto fu proprio quello di Gustavo. Il padre, dopo aver apprezzato molto i piatti, volle conoscere il cuoco per fargli i complimenti. Gustavo riconobbe la voce del padre, il padre riconobbe il viso del figlio. Fecero la pace e insieme gestirono il locale. Il loro ristorante divenne famoso in tutta la regione e Gustavo fu premiato come miglior cuoco italiano dell’anno per diversi anni. Andare a pranzo o a cena da loro era un’esperienza per i sensi, lo spirito e il corpo. Piatti straordinariamente saporiti serviti in un locale dall’atmosfera conviviale. E…
— E il superpotere? — m’interrompe Andrea.
— Ebbene — riprendo. — il superpotere di Gustavo era di riuscire ad apprezzare e far apprezzare piatti semplici come il minestrone che hai davanti. Le sue papille erano così sviluppate da riuscire a riconoscere i singoli sapori. Le carote, i piselli, le patate, eccetera. Una cosa che tu non riuscirai mai a fare, purtroppo per te.
— Non è vero. — protesta lui.
— Non ci credo. Dimostramelo!
Il guanto di sfida è slanciato. Andrea mi guarda con l’aria di chi sa il fatto suo e non vuol essere contraddetto. Prende il cucchiaio e lo immerge nel minestrone, pescandone una buona parte. Lo avvicina alla bocca, spalanca le piccole fauci e finalmente lo mangia. È concentrato nel cercare di distinguere i sapori.
— Visto? — dice a bocca piena.
Elisa ride sotto i baffi. La storia di Gustavo me la raccontò mio nonno molti anni fa, per convincermi a mangiare la minestra della nonna. Ancora oggi mi domando se questa storia sia vera. Poco importa, ciò che conta è vedere mio figlio gustarsi il suo piatto.
Tema: Emozioni a tavola
Nome del concorso: Racconta una storia breve
Indetto da: Circolo Culturale La Gazza
Posizionamento: Pubblicazione