L’ultimo tatuaggio

L’anziano sedeva nel letto d’ospedale, circondato da schermi luminosi e tubicini di plastica pieni di liquido. Dalla sua posizione osservava l’uomo giunto fin lì, al suo capezzale, da un passato lontano.

— Lei è… Lei… — balbettava l’anziano con voce roca.

L’uomo si limitò a un cenno di assenso del capo, accompagnato da un breve movimento della mano destra, come a dire “Non dica niente. Non si sforzi. Stia tranquillo!”. La mossa successiva fu quella di vagare con lo sguardo nella stanza in cui era entrato da pochi minuti. Quando fece la sua comparsa in scena l’anziano aveva chiesto gentilmente alla figlia di uscire dalla stanza. Gli occhi dell’uomo erano vispi, screziati di smeraldo, e cadevano sulle cose con quell’attenzione analitica che solo poche persone posseggono. Vivisezionava tutto ciò che passava sotto il suo scanner. Le cose si trasformavano in informazioni da archiviare nella memoria. Il suo sguardo si era fermato sul vaso di fiori, posto sul mobiletto a fianco del letto. Osservava i petali delicati, messi in risalto dalla luce del sole che entrava dalla finestra. Gli occhi erano diventate fessure sottili. Cosa pensasse era un mistero, ma ancora di più lo era la sua presenza in quel luogo, per non parlare del suo aspetto. Non una ruga di più o un capello di meno. Perfetto, come un ricordo indelebile.

— Che cosa ci fa qui? — riprese l’anziano con incredibile fatica.

L’uomo, come destatosi da un incantesimo, rivolse lo sguardo verso il malato. Si avvicinò di scatto al letto, protendendosi oltre le spondine, spaventando il paziente. L’impressione ai suoi occhi opachi e stanchi era quella di un’aggressione, ma l’uomo si fermò a un palmo dal suo naso. Lo osservò come uno scienziato osserva il risultato di un esperimento empirico. Occhi puntati in un occhio, poi nell’altro, sulla punta del naso e infine, forse, nel vuoto. A chiusura della sua analisi l’uomo indietreggiò meditabondo, con una velocità inversamente proporzionale al suo avvicinamento.

— Sono venuto a vedere il risultato finale. — sentenziò secco l’uomo, lisciandosi dietro un orecchio una ciocca dei lunghi capelli corvini.

L’orecchino d’argento scintillò, vittima innocente di un raggio di sole e l’uomo incrociò le braccia in segno di impaziente attesa. L’anziano sapeva a cosa si riferiva. Non c’era motivo di nominare l’oggetto del suo interesse. Nessuno, inoltre, poteva dubitare che il degente lo avesse con sé, anche perché non poteva separarsene in alcun modo. L’anziano tossì leggermente, poi fece un cenno d’intesa a cui l’uomo rispose. Il paziente sollevò lentamente un lembo del lenzuolo col braccio destro, da cui partivano i tubicini, scoprendo il braccio sinistro, che giaceva lungo il suo fianco, e lì restava, inerme. L’uomo si avvicinò e una luce, riflesso di una curiosità covata per anni, apparve nei suoi occhi famelici.

Il braccio sinistro del malato era ricoperto da una lunga serie di tatuaggi di ogni forma e colore. I disegni non erano posizionati in ordine sparso, come si sarebbe potuto pensare a un primo sguardo. Essi seguivano una linea a spirale che avvolgeva tutto il braccio, dall’interno del polso fino alla parte più alta della spalla, come un lungo boa constrictor decorato. I tatuaggi erano separati da linee verticali che dividevano la spirale in tanti piccoli tasselli.

L’uomo prese il braccio dell’anziano con delicatezza, come se avesse il folle timore di cancellare con le dita i tatuaggi. Lo stupore e la curiosità dipinte sul suo viso erano ben visibili, anche sotto la fronte aggrottata e l’aria seria che aveva assunto. Le sue dita passarono su tutti i disegni, di cui comunque non conosceva il significato, ma si soffermarono soltanto su alcuni. Le due fedi nuziali stilizzate, ricordo del giorno del matrimonio dell’anziano con quella che allora era la sua giovane moglie. Una casa in fiamme, come tragico ricordo della prima casa andata in fumo mentre gli sposi novelli erano in luna di miele. Il fiocco rosa, simbolo della nascita della loro unica figlia. Un volante d’auto: il tragico incidente in cui morì la moglie, una decina di anni prima. Il ciuccio azzurro in ricordo della nascita del nipotino adorato. Ce ne erano molti e molti altri di tatuaggi, ma nessuno di questi era mai stato inciso sulla pelle dell’anziano. La storia di quei tatuaggi è magica quanto misteriosa…

Ogni tatuaggio, si sa, ha un significato, racconta una storia o rappresenta un momento importante nella vita di un uomo. Per l’anziano, quei tatuaggi raccontavano una storia lunga una vita, la sua. Il primo, perché essi avevano un ordine ben preciso ed entrambi gli uomini in quella stanza lo sapevano bene, era posizionato all’interno del polso: una macchia d’inchiostro. Rappresentava il giorno in cui l’anziano, sessantacinque anni prima, si era fatto fare quel tatuaggio. Il primo e unico della sua vita. Aveva vent’anni allora e, come alcuni suoi coetanei, voleva un disegno indelebile sottopelle. La sua idea era farsene fare uno per ogni evento importante della sua vita. A quel tempo il tatuatore, a cui si era rivolto il giovane, aveva all’incirca trentacinque anni, ma da allora il suo aspetto non era cambiato. Il tatuatore era lì, davanti agli occhi dell’anziano, sospeso nel tempo come un Dorian Gray moderno. La sua presenza aveva fatto aprire il cassetto dei ricordi all’anziano che, nonostante un inizio di demenza senile, non avrebbe mai più dimenticato quel giorno di tanti anni fa.

Quel fatidico e caldissimo giorno di luglio di sessant’anni prima, il giovane si era presentato nello studio del tatuatore a mani vuote. L’impulsività lo aveva tradito. La voglia di un tatuaggio era stata così forte da essersi dimenticato di pensare al primo un soggetto. Quando il tatuatore gli chiese con fare scontroso cosa volesse e dove, il ragazzo cadde dalle nuvole. Dopo essersi ripreso iniziò con imbarazzo misto a esaltazione, a esporre il suo progetto all’uomo. Un braccio intero, disse, ricoperto di tanti tatuaggi che rappresentino tutti i momenti importanti della mia vita. Il tatuatore ascoltava ora assorto: una mano poggiata sul mento, l’orecchio teso e lo sguardo perso nel vuoto. L’atteggiamento caratteristico di un vero professionista che ascolta il desiderio del cliente e nel frattempo pensa a una o più soluzioni. Quando il ragazzo finì la sua esposizione era sudato dalla testa ai piedi, un po’ per l’energia che lo animava e un po’ per il caldo afoso. L’uomo lo fissò a lungo e infine scosse la testa.

— Te lo sconsiglio. — sentenziò il tatuatore, accendendosi una sigaretta.
— Perché? — sputò stupito il ragazzo.
— Potrebbe essere doloroso. — bofonchiò l’uomo con la sigaretta in bocca.
— Ho una buona soglia di sopportazione del dolore. — protestò il giovane, incrociando le braccia.
— Non mi riferivo all’ago. — concluse il tatuatore, sbuffando una nuvoletta di fumo bianco.

Il ragazzo, che aveva un bel caratterino, non volle sentire ragioni e neppure si sforzò di soffermarsi sul significato di quelle parole. Ne seguì un’accesa discussione che si concluse con la mani dell’uomo alzate verso il cielo, come a dire “Mi arrendo, hai vinto!”. Quella resa si rivelò in seguito un’amara sconfitta più per il ragazzo che per il tatuatore.

La luce era in posizione, come lo erano anche il ragazzo sul lettino e il tatuatore seduto sullo sgabello al suo fianco. L’uomo fece un cenno al giovane come a dire “Iniziamo. Sei pronto?”. Il ragazzo confermo, sempre con il capo e deglutì, poi si girò dall’altra parte per non guardare. Non che avesse paura, ma non si sa mai… Quando il ronzio arrivò all’orecchio del giovane, la sua mente iniziò a creare le scene che sarebbero seguite dopo quel momento. Il suo rientro a casa, lo sguardo severo dei genitori e l’ammirazione, sperava, dei suoi amici. Il ragazzo sorrideva, come a provare la mimica facciale migliore per esprimere il concetto “Guardate com’è bello il mio tatuaggio!”, quando all’improvviso un brivido di terrore lo colse. Cosa si stava facendo tatuare sul braccio? La discussione di prima lo aveva distratto a tal punto da dimenticare nuovamente il soggetto. Averla spuntata sulle ragioni del tatuatore era stato per lui un successo e da quel momento in avanti non aveva pensato ad altro. La sua reazione a quel punto avrebbe dovuto essere veloce, a dir poco repentina, ma qualcosa, si rese subito conto, lo stava rallentando nei movimenti. Come sotto l’effetto di un oppiaceo, il ragazzo prima si voltò verso il tatuatore e poi i suoi occhi scesero lentamente verso il suo braccio sinistro, dove l’uomo stava operando. Non riuscì a vedere niente perché oltre agli occhi anche le palpebre puntarono verso il basso. Il ragazzo si addormentò.

Il risveglio fu traumatico. Il giovane si ritrovò seduto per terra, appoggiato a un muro, in un vicolo cieco, di fianco a due cassonetti dell’immondizia. Si alzò e cercò di orientarsi mentre faceva mente locale. Fece alcuni passi in direzione della strada principale, per uscire dal vicolo in cui si trovava. Riconobbe la via e a quel punto iniziò a camminare velocemente e infine a correre verso il numero 66. Il civico era quello, ne era sicuro. Il negozio era scomparso, sostituito da un locale con il cartello “Vendesi”, verde fluorescente, attaccato sul vetro della porta. Non riportava, stranamente, nessun numero di telefono da contattare. Il ragazzo fece un giro su se stesso, chiese informazioni ai passanti, ma chiunque fermasse sosteneva in maniera convinta che quel locale era abbandonato da diversi anni. Prima c’era una lavanderia a gettoni, dicevano. Il giovane si sedette sul bordo del marciapiede, quando l’occhio gli cadde sul polso sinistro. Si accorse solo in quel momento di indossare una maglietta a maniche lunghe, che non era nemmeno sua. “Con questo caldo? Assurdo!”, pensò. Decise così di sollevare le maniche e fu quello il momento in cui apparve il tatuaggio. Il braccio sinistro era completamente ricoperto d’inchiostro. Lo sgomento e la rabbia del ragazzo furono incontenibili. Iniziò a urlare e ad agitare il braccio, lo girò su se stesso per controllare che ci fosse, da qualche parte, almeno un disegno, invece niente. Un braccio nero come il carbone. Come se non fosse suo, attaccato come un arto del mostro del dottor Frankenstein. I passanti lo guardarono incuriositi e preoccupati al tempo stesso. Il giovane era disperato e pieno d’ira. Avrebbe voluto trovare quell’uomo e strozzarlo con le sue mani. “Che cosa significa? Perché mi ha fatto questo?”, pensava. Il tatuatore era sparito ma le risposte sarebbero arrivate, col tempo.

La prima risposta arrivò quella sera stessa. All’interno del suo nuovo polso nero apparve una disegno. La pelle ritornò del colore originale intorno ai bordi di una macchia d’inchiostro stilizzata. Il ragazzo parve tranquillizzarsi inizialmente. Si convinse che era una nuova tecnica, ricoprire l’intera zona con un inchiostro speciale che rivelava, solo in un secondo momento, il disegno originale. Non riuscì a trovare informazioni in merito e il disegno appena apparso non era un granché. Passarono diversi giorni, poi settimane, ma nessun altro disegno apparve sulla sua pelle. Il ragazzo si sentì nuovamente tradito dal tatuatore, ma ancora non sapeva quale incredibile dono o maleficio, a seconda dei punti di vista, gli aveva offerto quell’uomo.

Apparve il secondo tatuaggio dopo diversi mesi, una pergamena arrotolata e chiusa da un nastro rosso. Era il giorno in cui aveva affrontato con successo l’ultimo esame dei sei anni, ne aveva ripetuto uno, di scuola superiore. A quel punto il ragazzo iniziò a unire a collegare i disegni agli eventi. I tatuaggi apparivano a seguito di momenti importanti della sua vita.

Le apparizioni erano continuate per tutta la durata della sua vita, offrendogli momenti di felicità e dolore legati ai ricordi. Il braccio era completamente ricoperto e sembrava non esserci altro posto, ma l’occhio e il dito del tatuatore si fermarono, dopo aver percorso l’intero braccio, nel punto più alto della spalla… e li vi restarono.

— Qui! — disse l’uomo. — Manca un tassello.
— Davvero? — chiese stupito l’anziano. — Dove?

Il tatuatore picchiettò nel punto su cui si era fermato. Il paziente vide il tassello nero con la coda dell’occhio. I due uomini si guardarono. Entrambi stavano pensando la stessa cosa: quale sarebbe stato l’ultimo tatuaggio? Uno dei due non ebbe il tempo di riflettere sulla risposta, perché essa si presentò davanti ai suoi occhi sottoforma di crisi cardiaca. L’anziano morì in breve tempo, nonostante l’intervento repentino di infermieri e dottori. Il tatuatore, impassibile, fece un passo indietro e rimase a osservare la scena. Un leggero sorriso gli increspò le labbra, mentre un teschio nero appariva all’interno dell’ultimo tassello, posto sulla parte più alta della spalla sinistra dell’anziano deceduto.

Tema: Tatuaggio
Nome del concorso: Inkiostrivari
Indetto da: La Caverna delle Torture