Sono felice. Mi sono appena svegliato, in un lussuosissimo albergo di Sao Paolo. Al mio fianco dorme una splendida fanciulla di cui non ricordo il nome. A pensarci, non ricordo proprio nulla. Neppure il motivo di questa gioia. Non solo è strano ma è preoccupante. Se sono felice dovrei saperne il motivo, è semplice, umano. Eppure niente, il vuoto.
Sbadiglio. Sono stanco o qualcosa del genere e mi fa male la testa. Mi alzo e siedo sul bordo del letto. La camera inizia a girare. Sorrido.
Una serie di fruscii alle mie spalle. L’ho svegliata.
— Ehi, sei già sveglio? — mugugna lei.
Mi volto, lentamente. Gli occhi bruciano da morire e sono costretto a tenerli semichiusi, ma nonostante questo riesco a inquadrare la venere sdraiata nel mio letto. Ha degli occhi grandi, da gatta. Mi guarda contrariata o dubbiosa. Non capisco se è infastidita dalla luce che entra dalla vetrata o dal fatto di averla svegliata.
— Noi due… — inizio, ma poi mi perdo nei suoi occhi color caramello.
— Sì, noi due. — mi risponde. Ora sorride. — Ecco, sì. Questa notte, noi abbiamo…
— Scusa? Che stai dicendo? — ride. — Dai! — mi fermo, sono imbarazzato.
— Hai capito benissimo.
— Cosa? Mi stai chiedendo se abbiamo fatto sesso?
È una conversazione assurda. Lei è bellissima, siamo nudi e nello stesso letto. La risposta è davanti ai miei occhi e spiega anche la mia felicità. L’unica sfortuna è il non ricordare nulla, ma a questo si può rimediare subito. Sorrido e mi tuffo su di lei. Inizio a palpeggiarla. Uno schiaffo veloce e fortissimo mi prende in pieno viso.
— Ehi, che fai? — reagisco stupito.
— Sei impazzita?
— Non erano questi gli accordi. — taglia corto lei, coprendosi il seno e incrociando le braccia sul petto.
Mi alzo e mi allontano, sempre tenendola d’occhio e massaggiandomi la guancia ferita. Lei mi guarda con astio e forse con un pizzico di timore.
Accordi? Non ricordo. Ci sono due categorie di donne con cui finisco a letto. Quelle che mi vogliono, ma che mi piacciono, e quelle che voglio io. L’unica ipotesi che mi viene in mente, dopo la sua reazione, è che sia una che volevo io. Una prostituta. Se ho pagato per la notte, lo schiaffo me lo sono meritato, ma…
— Se è un extra che vuoi. — le dico. — Non ci sono problemi.
— Extra? — ora è incazzata nera.
— Per chi mi hai preso, eh?
— Scusa, ma non sei qui per…?
— Certo che no! Te l’ho già detto: sono lesbica.
— Intendi quel tipo di lesbica a cui piace anche…
— No, lesbica al cento per cento. Niente uomini. Sei impazzito? Che hai?
— Cosa? Tu sei… — mi viene da ridere. — Ok, e allora spiegami che ci fai nuda nel mio letto.
Lei mi guarda con stupore, poi si alza dal letto con movimenti nervosi, portandosi dietro tutto il lenzuolo, e si avvicina alla vetrata, dandomi le spalle. Direi che, a questo punto, la felicità provata al risveglio non è scaturita da un rapporto sessuale con questa donna.
— Prima di tutto, — riprende lei. — questa non è la tua camera.
— Ah no? — rispondo piccato. — E di chi sarebbe allora?
— Mia. Non ti ricordi niente, vero? — chiede lei con un filo di voce.
— Esatto. — rispondo con un’onesta che sembra più una resa.
— Beh, può capitare.
— In che senso? Cos’è successo?
Lei ritorna verso il letto. Si veste, davanti a me, senza vergogna e poi si guarda intorno.
— Che cosa cerchi? — le chiedo confuso.
— La risposta alla tua domanda. — risponde.
— Eccola! Si china a raccogliere qualcosa, dietro il bordo del letto e me lo mostra. Una bottiglia. Vuota. Ottimo! Ecco cosa ha cancellato la mia memoria a breve termine. La fanciulla senza nome rovescia la bottiglia.
— Ops! — esclama con sarcasmo. — Bene, ti faccio un breve riassunto delle puntate precedenti, che ne dici?
— Te ne sarei grato. — rispondo con timidezza.
— Ieri sera ci siamo incontrati al lounge bar dell’hotel e c’è stata subito una bella intesa. Io sono una modella e tu sei…
— Un fotografo. — la interrompo sospirando e ravviando i capelli.
— Almeno questo lo ricordi, per fortuna. — dice con le mani sui fianchi.
— Continua! — la invito brusco, con un gesto della mano. Lei mi guarda senza espressione. Sembra essersi offesa. — Per favore. — aggiungo, per scusarmi.
— Ok! — riprende lei. — Quindi dov’ero rimasta? Ah sì, c’è un interesse reciproco, di lavoro s’intende. Beviamo e saliamo in camera mia. Ti faccio vedere il mio book, mi parli degli stilisti che conosci. Ci provi, ti dico che sono lesbica e scendiamo a un compromesso.
— Vale a dire?
— Una notte a letto, insieme, ma niente sesso.
— Devo aver bevuto davvero tanto per chiederti così poco.
— Vedi tu, questa bottiglia te la sei scolata da solo.
— Cosa? Ok… e io cosa ti ho offerto in cambio?
— Qualche numero di telefono e la tua referenza, chiamiamola così.
— Non mi sembra un grande affare.
— Per me sì e mi aspetto che rispetterai l’accordo.
— Ero ubriaco.
— Non è un problema mio.
— Ma non ricordo niente.
— Ripeto…
— Ok, ok! Ho capito. Non è un problema tuo.
— Quindi?
— Avrai i tuoi contatti.
— Bene, ora se non ti dispiace… — e indica la porta. — Ci vediamo per pranzare insieme, che ne dici? Così resti ancora un po’ in mia compagnia e mi ricompensi per il… lavoro svolto. A mezzogiorno e mezzo?
Annuisco, mi guardo intorno, alla ricerca dei miei vestiti. Trovo solo le mutande, che indosso alla svelta.
— Dove sono? — le chiedo.
— Dove sono cosa? — ribatte lei.
— I miei vestiti.
— Ehm… li hai buttati.
— Li ho… cosa?
— Dalla finestra. — ride.
— Dalla? Ok! — mi dirigo verso la portafinestra, la apro e mi ritrovo sul balcone. Il sole mi acceca per alcuni istanti e ho un attacco di nausea. Mi affaccio e guardo giù. Sul marciapiede non c’è nulla.
— Urlavi come un matto lì fuori, facevi il verso della scimmia, poi ti sei spogliato e li hai buttati giù. Saranno in strada o che so io.
— Non c’è niente la fuori. — rispondo rientrando nella stanza. — Ottimo! C’è qualcos’altro che devo sapere?
— No! Anzi sì.
— Cosa?
— È stato divertente.
Le rispondo con un sorriso stanco ed esco. C’è uno straordinario silenzio in corridoio. Sono confuso e amareggiato. Meglio tornare nella mia stanza. Faccio il gesto di frugarmi nelle tasche, ma che non ci sono visto che sono in mutande. Sorrido. Sono ancora felice, nonostante tutto, ma perché?
Ho bevuto come una spugna e ora sono uno straccio. Ho promesso di mettere in contatto quella donna con alcuni stilisti e lei, nonostante la bellezza, non è adatta. Non è il genere di modella che cercano gli stilisti con cui sono in contatto io: troppo bassa, troppo in carne. Farò una pessima figura. In cambio non ci ho guadagnato niente. Sono in mutande, in corridoio. Ho perso le chiavi della camera, di cui non ricordo nemmeno il numero. E io cosa faccio? Sono felice. Assurdo.
Mi volto e busso alla porta, che dopo pochi istanti si apre.
— Che cosa c’è? — mi chiede lei, un po’ infastidita.
— Le chiavi della camera. — lei sorride. — Ti diverti, non è vero?
— Dovresti vederti.
— Ok, te lo concedo.
— Dai, entra. Ti chiamo la reception.
Mi siedo sul bordo del letto mentre lei compone il numero.
— Come ti chiami? — le chiedo.
— Wow! — risponde. — Non ricordi nemmeno il mio nome, sei messo proprio male. — alza una mano in segno di attesa, poi si rivolge a chi sta all’altro lato del telefono.
Lei sta parlando con qualcuno dell’hotel per risolvere la mia mancanza di vestiario, ma io non ascolto nemmeno. Mi appoggio sui gomiti, con le mani tra i capelli. Sento un fischio nelle orecchie e non riesco a smettere di pensare a…
— Che hai? — mi chiede lei. Non mi sono accorto nemmeno che ha chiuso la telefonata.
— Niente. — rispondo io. — Che hanno detto?
— Hanno trovato i vestiti in strada. Nella tasca dei pantaloni c’erano le chiavi della camera, così sono venuti a cercarti ma la stanza era vuota. Richiameranno per il… servizio in camera. Te li portano qui.
— Ok. — sbuffo e resto a fissare il pavimento.
— Ehi, non essere triste. — dice lei con dolcezza, finta ovviamente. — Ci vediamo dopo, per pranzo.
— Non è per questo… è che sono felice.
— Visto così non si direbbe, ma comunque che c’è di male?
— Non conosco il motivo, ecco cosa c’è di male.
— Forse è per il fatto che ieri di sei divertito parecchio.
— No, non è per questo. È una felicità viscerale, intrinseca.
— Ehi, bello! Non mi dire che ti sei innamorato di me. Lo sai…
— Sì, lo so. No, non è per te.
Silenzio. Si siede al mio fianco, poggiandomi una mano sulla gamba. C’è qualcosa di strano in questo contatto fisico. Non è come me lo sarei aspettato. La osservo con attenzione. Mi sembra distante, come se stesse recitando una parte. Il telefono suona.
— È per te. — dice lei seria.
Guardo l’apparecchio. Non so perché ma non voglio rispondere. Ho una strana paura ingiustificata.
— Devi andare. — incalza lei. Lo dice con tristezza.
Cerco il suo sguardo senza risultato. Mi alzo e vado verso il telefono. Sollevo la cornetta e rispondo a occhi chiusi.
— Pronto? — esclamo rassegnato.
Il telefono torna a squillare, anche se la cornetta è alzata. Il suono è forte e acuto, ma la cosa più scioccante è che non riesco ad aprire gli occhi… poi il rumore cambia e vedo la luce.
La sveglia. Maledizione! Ecco perché ero così felice.
Tema: Felicità
Nome del concorso: Onda d’Arte
Indetto da: Pro Loco Ceriale