Lungo le sponde del torrente, i cadaveri dei soldati caduti in battaglia galleggiavano trascinati dalla corrente. Un’immagine agghiacciante. L’uomo aveva l’assurda impressione di scorgere dei lucci argentati tra le piccole onde. Solo un’illusione.
La tormenta imperversava e non sembrava voler dare tregua. Il vento sputava in faccia la neve al soldato, da solo in quell’inverno spietato. Un inferno freddo e triste, come l’umore di Piero che si stringeva nella divisa e camminava davanti a se.
— Piero? Dove sei? — esclamò una voce.
— Chi sei? — chiese Piero, fermandosi bruscamente.
— Sono Fabrizio.
— Ciao amico! Aspetta, cerco di orientarmi.
Piero, nel vento, sente le voci dei morti in battaglia, di chi diede la vita ed ebbe in cambio una croce. Il soldato effettuò un giro su se stesso. Intorno solo neve e orizzonti indistinti.
— Credo di essere ancora lontano. — risponde Piero, sospirando. — Ci sentiamo più tardi, ok?
— Ok! — chiuse Fabrizio.
Al suono della voce di Fabrizio, Piero sentì un brivido freddo percorrergli la schiena. Passavano i giorni e con esso le stagioni. Il soldato continuava la sua missione, sempre da solo. Arrivò la primavera. La neve si sciolse, comparirono i primi fiori nei prati e con essi anche la frontiera, davanti agli occhi di Piero.
Dall’alto della montagna, su cui si trovava, aveva un’ottima visuale. Piero capì subito di essere un bersaglio facile e si sdraiò velocemente dietro una roccia. Prese il binocolo e lo puntò verso valle. La situazione era complessa. I posti di blocco erano collocati in punti strategici: difficile passare senza essere visti. Dopo un’attenta analisi e un piano efficace, il soldato si rimise in marcia. Scese lungo il pendio, con cautela, nascondendosi alla visuale del nemico dietro alberi e rocce.
Apparve all’improvviso, come un miraggio terribile. Piero si nascose dietro l’albero da cui era saltato fuori. Il suo respiro era affannato, ma non più soltanto per la fatica della discesa. Il cuore iniziò a battergli forte, salendogli in gola. Le mani fredde stringevano con forza il fucile. Piero sbirciò velocemente. L’uomo era di spalle. Indossava anche lui la divisa, ma di un altro colore. Piero tornò a nascondersi, chiuse gli occhi e maledì il cielo.
— Cosa hai detto? — chiese Fabrizio.
— Niente. — tagliò corto Piero — Volevo dire che sono quasi arrivato ma c’è una guardia lungo il sentiero.
— Ti ha visto?
— No, assolutamente.
— Puoi tenerlo sotto tiro senza farti vedere?
— Sì, credo di sì, certo. Perché?
— SPARAGLI, PIERO! SPARAGLI, ORA!
— Ti sento, ok? Ti sento! Non urlare.
— Perché? Hai paura che mi senta il nemico?
— Ah-ah-ah! Divertente, dico davvero. Io sono qui, da solo, a rischiare la pelle e devo subirmi anche la tua voce nella mia testa?
— La dovrai subire ancora, se vuoi uscire vivo da lì. Le cose stanno così, amico. Io sono morto per salvarti il culo, ricordi? Ti salverò ancora ma dovrai ascoltarmi, me lo devi.
— Mi farai diventare paranoico, lo sai? Parlo già da solo…
— Vuoi uscire da questa situazione, sì o no? Sparagli, Piero.
— Bravo, così il rumore riecheggerà fino al primo posto di blocco e mi verranno a stanare.
— No, sono troppo lontani per sentirlo, fidati di me. Sparagli e dopo il primo colpo sparagli ancora, fino a che non lo vedrai cadere a terra a coprire il suo sangue.
— Ok, vado.
Piero prese un lungo respiro e poi uscì allo scoperto, in silenzio di tomba. Il nemico, di spalle, non si accorse di nulla. Stava urinando contro un cespuglio. Fischiettava. Piero imbracciò il fucile e prese la mira, ma iniziò a pensare a come non farlo soffrire. Se gli sparasse in fronte o nel cuore, il soldato avrà soltanto il tempo per morire. A Piero resterà soltanto il tempo per vedere gli occhi di quell’uomo che muore.
Un ramo si spezza sotto il peso di uno degli stivali di Piero. La testa del nemico si alza. Il rumore della cerniera lampo. L’uomo si volta. Lo sguardo impaurito incrocia quello di Piero. Il nemico scatta di lato, imbraccia il suo fucile e, senza esitare, spara. Il corpo di Piero cade in terra senza un lamento e lui si accorge in un solo momento che il tempo non gli sarebbe bastato per chiedere perdono per ogni suo errore, che peccato.
L’immagine di un campo di grano si materializza davanti agli occhi di Piero. Una lapide circondata da mille papaveri rossi.
— Dove sei Piero? — chiede nuovamente Fabrizio.
— Sono morto. Mi spiace. — rispode lui stancamente.
— Maledizione! E adesso? Ritorni?
Sulla lapide, di fianco alla foto di Piero in divisa, una scritta nera scolpita nel marmo: Game Over.
— No, sono stanco. — risponde Piero. — Vado a letto.
— Sicuro? — si accerta Fabrizio. — Ma stai bene? Ti sento giù di morale.
Piero sente il fruscio del grano nel vento che gli sussurra parole incomprensibili all’orecchio. Stringe ancora nelle mani il fucile, inutilmente. Stringe in bocca parole troppo gelate per sciogliersi al sole. Non è il momento di confidarsi con Fabrizio.
— Tutto ok. — conclude Piero. — Vendicami. Ci sentiamo. Ciao!
— Ok, ciao! Passo e chiudo. — la voce di Fabrizio si spegne, l’audio gracchia e poi… silenzio.
Piero lascia cadere il controller, a forma di fucile, in grembo e si toglie le cuffie. Si alza dal divano a fatica e arranca verso il televisore e la console. Spegne entrambi. Rimane in piedi al centro del soggiorno, immerso nella luce tenue offerta dalla lampada da terra posta vicino alla libreria.
Piero porta le mani al volto. L’ennesima guerra finita male, con la sua sconfitta come finale. L’unica consolazione sta nel fatto che fosse virtuale. Le guerre, quelle vere, ne ha combattute e ne combatte tutt’ora nel mondo reale. Sono terribili e altrettanto spaventose.
La guerra dei trent’anni, quelli del mutuo, che lo vedono protagonista mentre paga il suo debito nei confronti dei vincitori. La guerra lampo con Nina: dopo un anno di matrimonio arriva il divorzio e i lampi si ripetono sottoforma di telefonate e incontri settimanali per la gestione della figlia. La guerra fredda con Luisa, sua figlia: una guerra fatta di silenzi e ripicche da parte di lei, nei confronti di Piero, per aver divorziato dalla madre, anche se il divorzio lo ha chiesto Nina.
L’orologio segna il momento del riposo. Piero si dirige verso la camera da letto. La casa è silenziosa. Il monolocale in cui vive, da solo, è all’ottavo piano di un condominio in centro a Milano. Piero si sdraia nel letto, la sua trincea personale. L’antifurto di casa farà il turno di notte, come sempre, ma lui sa che non riposerà bene, come al solito.
La vita è un susseguirsi di prove, battaglie, guerre e poca, pochissima pace. C’è chi sfida il proprio destino, chi si lascia sopraffare ma, in qualsiasi caso, sono tutti costretti a combattere, volenti o nolenti contro le difficoltà della vita. Gli uni contro gli altri, senza pietà, e vince solo chi spara per primo, chi ha sangue freddo, chi non esita, chi non pensa, chi non sbaglia. Mai.
Piero si gira nel letto, inquieto, poi lentamente il sonno ha la meglio, almeno fino a quando non sorgerà il sole e giungerà il momento per Piero di affrontare una nuova battaglia.
Tema: La guerra di Piero
Nome del concorso: Una storia sbagliata
Indetto da: Associazione Culturale Carta Dannata