Gli occhi iniettati di sangue e lo sguardo assente. Questo era l’aspetto del soldato che il capitano aveva davanti a sé. Era morto poche ore prima, dicevano i suoi compagni, in circostanze misteriose. Ora, invece, era vivo… ma qualcosa in lui si era persa per sempre. Le braccia ciondolanti, il passo incerto. Non sembrava appartenere a questo mondo. D’un tratto fece un balzo in avanti che sorprese tutti. Il soldato morto e risorto, con mani forti accompagnate da estrema violenza, si avventò sul capitano. Alcuni uomini cercarono di liberarlo ma nessuno ci riuscì. Il soldato dimostrava ora una capacità di combattimento corpo a corpo che nessuno gli aveva mai riconosciuto. Nella frenesia del momento, soltanto alcuni si resero conto che il loro capitano rischiava di morire soffocato. Qualcuno si fece prendere dal panico. Iniziò a urlare ed inveire contro il soldato impazzito, fino al punto di definirlo uno zombie. A quel punto, un altro uomo, che invece aveva sangue freddo e nervi saldi, brandì il suo fucile e sparò alla fronte del soldato, uccidendolo sul colpo. Il corpo della vittima cadde a peso morto sul capitano che, con l’aiuto dei suoi soldati, riuscì a riprendere fiato e ad alzarsi in piedi. Il soldato dal sangue freddo e gli occhi di ghiaccio si avvicinò al corpo senza vita e lo trafisse con un la baionetta all’altezza del cuore. Fece un cenno di conferma al suo capitano che ricambio e poi si allontanò dal corpo. Il capitano guardò i suoi uomini e loro ricambiarono con occhi sgranati, un misto di sgomento, paura e rabbia.
Quest’ultimo si avvicinò al corpo del soldato ucciso. Fece subito ciò che tutti si aspettavano da lui. Frugò nelle tasche della divisa. Sapeva cosa doveva cercare e lo trovò nella tasca sinistra dei pantaloni. Lo specchio elettronico era ancora acceso e la schermata presentava un’immagine che il capitano conosceva fin troppo bene. L’immagine finale del videogioco Biancaneve. Un messaggio che, da quando era stato lanciato il videogioco, era portatore di morte e distruzione. Le parole e la foto erano chiari. Per aver concluso il gioco, il vincitore riceveva come premio le indicazioni per raggiungere il luogo in cui le Mele degli Dei crescevano sull’Albero della Misericordia. Tutti coloro che avevano ultimato il gioco, ed erano tanti visto la facilità di quest’ultimo, avevano ceduto alla tentazione di partire alla ricerca di quel luogo.
Il capitano scaraventò lo specchio elettronico per terra, mandandolo in mille pezzi. Scariche elettriche e pezzi di vetro si sparsero sul sentiero. Il silenzio era interrotto soltanto dalla pioggia e da alcuni colpi di tossi di soldati infreddoliti. Il capitano, con le mani che ancora gli tremavano, si avvicinò al suo uomo più fedele e gli chiede di perquisire i suoi compagni. La tensione si tagliava con il coltello. Sulle uniformi di due uomini furono trovati altri specchi elettronici. Il capitano li fece legare e bendare, poi ordinò al suo uomo fidato di portali lontano dal sentiero e abbandonarli in un campo. Si stavano avvicinando sempre di più al luogo misterioso e i pericoli aumentavano ad ogni passo. La collina indicata sulla schermata, secondo le mappe, era nelle vicinanze. Dal sentiero si poteva ammirare il porto di Genova. Quando il capitano alzò gli occhi vide la sagoma in lontananza. Ordinò ai suoi uomini di accamparsi per la notte. Il mattino seguente si sarebbero messi in marcia per raggiungere al loro meta.
L’Albero della Misericordia era gigantesco. Si ergeva sulla cima di una ripida collina su cui cresceva erba alta e rigogliosa e, in ordine sparso, cespugli di rovi scuri e resistenti. Gli uomini si muovevano con circospezione. La pioggia era cessata durante il corso della notte ma l’erba era umida e le divise completamente fradice. Tutti i soldati si coprivano le spalle a vicenda e avanzavano solo quando ricevevano l’ordine dal loro diretto superiore. Il capitano si aspettava di veder spuntare da un momento all’altro la causa di morte che aveva ucciso, e poi trasformato in zombie, tante persone. Nessuno si accorse, ad esclusione delle vittime, che alcuni soldati scomparivano letteralmente alla vista. Il capitano pensava che il motivo fosse la scarsa visibilità causata dall’erba alta. Dovette ricredersi quando il suo uomo di fiducia lanciò un urlo alle sue spalle. Quando il capitano si voltò il soldato era sparito alla vista. Non poteva chiamarlo a gran voce, temeva di venir individuato dal nemico, al momento ancora invisibile. Fece un giro su se stesso per cercarlo e al tempo stesso difendersi da eventuali attacchi ma non accadde niente. Il vento soffiava forte tra i fili d’erba alta.
Alcune gocce caddero sulle spalle del capitano. In un qualsiasi altro momento, il capitano non se ne sarebbe curato, pensando si trattasse del primo accenno di pioggia; ma in quel momento, con la tensione alle stelle, ogni segno di cambiamento era un campanello d’allarme per chiunque. Diede un’occhiata fulminea al tessuto che, nel punto in cui erano cadute le gocce, era più scuro. Volse i palmi verso il cielo e restò in attesa. Altre gocce caddero dal cielo e il capitano osservò che erano rosse, come il sangue. Quando egli alzò gli occhi al cielo, l’immagine che si presentò davanti ai suoi occhi aveva qualcosa di surreale.
Il soldato, trafitto al costato da un ramo dell’albero, penzolava inerme nel vuoto. Gli occhi sbarrati e la bocca spalancata in una smorfia di dolore. L’adrenalina nel corpo del capitano salì a livelli altissimi. Altri soldati videro quello che era appena accaduto e si avvicinarono al capitano senza aspettare il suo ordine. L’accaduto era così surreale che ogni regolamento militare non aveva più controllo sulle azioni dei soldati. Alcuni di loro cercarono di avvicinarsi, nonostante il cenno di stop da parte del capitano. Quest’ultimo, sotto shock, non trovò la forza di richiamarli e lasciò che si avvicinassero all’Albero della Misericordia. Fu un errore perché in pochissimi istanti accadde qualcosa di terribile e inaspettato.
Rami e radici tentacolari imprigionavano, stritolavano, lanciavano nel vuoto e uccidevano tutti i soldati che capitavano a tiro. Nessuno venne risparmiato. L’Albero della Misericordia aveva preso vita e stava sterminando il piccolo esercito giunto sulla sua collina. Come se ciò non bastasse, spuntarono dal nulla altri zombie, che iniziarono a dare la caccia, strangolando i soldati rimasti feriti sul campo. Il capitano e alcuni uomini si allontanarono, lasciandosi alle spalle le urla disperate dei compagni, e riuscendo a trovare rifugio dietro ad un ammasso di grandi rocce. I sopravvissuti restarono fermi e immobili per alcune ore, per il timore di essere scoperti. Quando il capitano decise che era il momento di muoversi, si sporse oltre una rocce per dare un’occhiata in direzione dell’Albero della Misericordia. Alla base del largo tronco si ergevano due uomini, due sconosciuti che, come se lo stessero aspettando, guardavano nella sua direzione.
Il capitano fece cenno ai pochi soldati rimasti di tenersi pronti. Ora avevano un obiettivo. Al suo comando dovevano uscire e andare incontro al nemico. I fucili erano stati imbracciati, i nervi erano tesi e tutti i soldati, seppur tremanti, erano pronti ad andare incontro a morte certa… quando uno dei due uomini urlò nella loro direzione. Si presentò come colui che aveva inventato il videogioco Biancaneve e spiegò che non avevano via di scampo. Chiese loro di arrendersi, gettare le armi e avvicinarsi. Quando udì quelle richieste, il capitano guardò i suoi uomini negli occhi e questi ricambiarono con un cenno di assenso. Il capitano fece il segnale concordato e i soldati uscirono allo scoperto sparando in direzione dei due uomini e degli zombie sparsi sulla collina.
Il sangue sgorgava copiosamente. Una radice appuntita gli aveva trafitto una gamba. Il capitano, sdraiato a terra, cercava di fermare l’emorragia mentre sentiva i passi dell’uomo sopravvissuto che si avvicinava. I suoi uomini erano tutti morti e lui non aveva scampo. Quando l’uomo si avvicinò, con cautela, osservò la scena con sguardo disgustato. Nella mano destra teneva uno specchio elettronico, nella sinistra una Mela degli Dei. Si presentò come lo scienziato che aveva creato un virus. Lo chiamò Snake. Il capitano iniziava ad avere la mente annebbiata a causa della copiosa perdita di sangue e di forze, ma nonostante questo, l’uomo continuava a parlare e lui cercò di seguire quel che aveva da dirgli in punto di morte.
Fin da quando aveva scoperto il virus Snake, lo scienziato, pensava a cosa sarebbe potuto accadere se fosse finito nelle mani sbagliate. Si rese conto in seguito quelle mani erano le sue e che, in aggiunta, non si pentiva di ciò che aveva fatto. Lui era uguale a tutti gli uomini della terra. Aveva sogni, desideri e ambizioni, per la maggior parte di origine materiale. Voleva soldi, potere e controllo su tutto. Quando incontro il tecnico, colui che, in seguito, inventò il videogioco Biancaneve, trovò un alleato per il suo piano di conquista. Il videogioco induceva gli uomini alla tentazione e al desiderio e il suo virus, iniettato nel DNA di un albero, lo mutò nell’Albero della Misericordia, su cui crebbero le Mele degli Dei. Frutti che, se ingeriti, uccidevano gli uomini e ne mutavano il DNA, trasformandoli in zombie. Così che tutti ottennero ciò che volevano: gli uomini le Mele degli Dei, il tecnico il controllo delle menti, lo scienziato il potere sugli uomini.
Il capitano, rimasto l’ultimo uomo vivo sul campo di battaglia, era stato sconfitto e umiliato dalla supremazia dei suoi avversari. Lo scienziato lo avvertì che la sua morte sarebbe stata lenta e dolorosa a causa della ferita alla gamba; ma aveva un cuore d’oro, così disse e voleva offrire al suo avversario un’alternativa alla sua lenta fine. Si avvicinò al capitano con un ghigno, gli prese la mano rimasta libera dalla presa sulla gamba sanguinante e gli diede lo specchio elettronico che aveva con sé. Lo sguardo d’intesa che ci fu tra i due era chiaro. L’unica alternativa, che lo scienziato offriva al capitano, ad una morte certa era un’altra vita… come suo schiavo. Lo scienziato si alzò e si voltò lasciando al capitano il tempo di riflettere; poi lanciò alle sue spalle la Mela degli Dei che aveva in mano, che cadde a pochi centimetri dai piedi del capitano, infine se ne andò in silenzio.
Il capitano rimase in ascolto del vento e delle voci degli zombie che vagavano per la collina. L’unica compagnia che aveva era lo specchio elettronico lasciato in dono dallo scienziato e una Mela degli Dei. Una mela avvelenata dalla cupidigia degli uomini. Scagliò con rabbia lo specchio. Non ne aveva bisogno. Poteva dare un morso alla mela senza dover far nascere dentro di sé quel desiderio. Sapeva che lui e pochi altri sarebbero stati gli ultimi a trasformarsi in zombie. L’antidoto Afrodite, iniettato in altre mele, era in viaggio, partito dal porto di Genova in direzione della Sicilia. Mille mele sarebbero sbarcate a Marsala per guarire gli zombie ancora in vita, ancora infetti.
Il capitano si guardò intorno, guardò la gamba ferita e infine diede un morso alla mela avvelenata. Nella borsa che portava a tracolla conservava un’altra mela, quella che gli avrebbe ridato la vita.
Tema: Mela avvelenata
Nome del concorso: Mele avvelenate
Indetto da: La Mela Avvelenata BookPress